NicoleBertozzi
Questione di stile

È vero che inconsciamente ciò che indossi rispecchia la tua personalità, ma quando ne prendiamo coscienza l’abito può diventare una maschera, un simbolo e un’arma. Non è più solo questione di vestirsi ma diventa questione di stile. Lo stile può essere un modo per uniformarsi o distinguersi, è una lingua silenziosa. Nietzche categorizza lo stile come un processo di costruzione di sé da parte sia dei singoli individui, sia dei popoli. Come prima cosa poniamo l’accento sulla volontà di distinzione dell’individuo, il bisogno di sentirsi unico, di voler essere imitato e non di imitare, che con la nascita dei social network cresce a dismisura negli ultimi anni e che si rispecchia tra stravaganze, ricercatezze e spesso anche ricchezze, che l’individuo nella sua realtà economica non potrebbe permettersi, per attirare l’attenzione su di sé. Spesso basiamo il nostro modo di vestire in conseguenza a ciò che ci circonda e tentiamo di nascondere alcuni lati più timidi con abiti estroversi, creando confusione tra personalità e apparenza.

Il cosiddetto “abbigliamento di opposizione” è un altro caso in cui l’abito diventa maschera, i dandy, i teddy boy, i mod, gli hippy, i punk sono tutti gruppi sociali che possiedono come simbolo distintivo l’abito, il quale li distingue dalla società generica e li unifica come gruppo. Curioso è il pensiero di come questi gruppi siano uniti da abiti simili ma che ognuna delle persone che ne fanno parte, presa singolarmente, renda unici gli abiti che indossa da una parte seguendo a teoria di Nietzche e dall’altra attraverso l’espressione inconscia della propria personalità.

Dal mio punto di vista è riuscito maggiormente a fare dell’abito un vero e proprio coltello, un testo politico, un manifesto il gruppo delle femministe.

Era circa metà ‘800 quando la suffragetta Amelia Bloomer fece la sua prima comparsa nella protesta contro la moda, contro il corsetto e la crinolina pubblicando sulla sua rivista per sole donne the lily un articolo sui pantaloni inventati da un’amica che vennero poi rinominati “bloomer” in suo onore e che furono simbolo di moltissime rivolte femminili dell’800. Non solo i pantaloni, anche le cravatte, i cappelli a tuba, la trombetta, le giacche e qualsiasi indumento potesse ricordare l’abbigliamento maschile divenne di proprietà delle rivolte femminili nel corso degli anni, per sottolineare la volontà della parità dei sessi. Per rendere il concetto più semplice e lineare basta pensare alla parte della società nel quale vi sentite più a vostro agio e se il vostro stile si omologa ad esso, se alcuni di questi tratti distintivi vi appartengono. Quando uscite modificate consciamente il vostro stile in modo da risaltare nella massa o viceversa nascondervi? Tentate di nascondere tratti del vostro “io” attraverso il costume oppure di valorizzarlo? Probabilmente in questo momento stai leggendo e pensi “esiste anche qualcuno a cui non interessa la società e nemmeno l’apparenza”: se non sei interessato cosa ti spingere a scegliere i vestiti da comprare o da indossare? Ne parleremo nel prossimo articolo, nel frattempo facci sapere cosa ne pensi nei commenti.