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Lina la leonessa d'oro

Lina Bo, diventata Bardi a seguito del matrimonio con il critico d’arte e giornalista Pietro Maria, ha ricevuto il Leone d’Oro speciale alla memoria alla 17a Mostra Internazionale di Architettura di Venezia. Romana di nascita (nel 1914, come Achillina) – città a cui deve la formazione e la laurea in architettura, ma trasferita a Milano per lavorare con Gio Ponti –, è una delle poche progettiste italiane ad aver segnato la storia dell’architettura del nostro paese. Seppure ai più sia quasi sconosciuta, anche perché per la quasi totalità della sua vita ha vissuto in Brasile, “la mia patria di scelta”.
Grande disegnatrice a colori, ha indirizzato la sua forza creativa in ogni campo, attraversando con sapienza il design, la scenografia, l’arredamento, l’arte, le arti applicate, oltre ovviamente all’architettura. E solo un paese multiforme e sfaccettato come quello sudamericano nel periodo del secondo dopoguerra poteva assecondare la sua avventura: “ciò che ho fatto in Brasile non lo avrei mai potuto costruire in Europa”, confermava lei stessa.

Attratta dal fascino della materia grezza e dal suo accostamento quasi improbabile con la natura – colonne di calcestruzzo rivestite da intrecci di foglie di palma, solai di lastre cementizie prefabbricate con coperte di piante esotiche in grado di assorbire l’umidità, “fango-cemento” per i tamponamenti… – con le sue realizzazioni ha saputo influenzare gran parte della cultura brasiliana a venire. “Non era glamour”, ricorda il suo collaboratore Marcelo Ferraz, “era un’intellettuale, una combattente. Da lei ho imparato che l’architettura è uno strumento di trasformazione, per cambiare la realtà, le case, la città.» Come la fascinosa Casa de Vidro, inglobata nel “mare di verde” della natura lussureggiante brasiliana e diventata sua residenza, il Museo d’Arte di San Paolo, il centro sociale SESC sempre a San Paolo. Quest’ultimo è un edificio dallo schema molto semplice, con elementi prefabbricati, standardizzati, modulari simili a parti di un vero e proprio kit di costruzione, da utilizzare secondo modalità pari a quelle del disegno industriale. Infatti i suoi arredi di acciaio tubolare e cuoio o tessuto vengono pensati come architetture in scala ridotta, con elementi tipici dell’edilizia: nodi, giunti, struttura portante…

Esemplare l’iconica Bowl Chair del 1951, prodotta da Arper solo a partire dal 2012 grazie alla collaborazione con l’Istituto brasiliano che custodisce e promuove l’operato di Lina. Una “ciotola” semisferica orientabile in diverse posizioni, sostenuta da una esile struttura metallica a quattro gambe, frutto dell’equilibrio tra progetto originale (di cui rimanevano degli schizzi e due prototipi) e innovazione delle attuali tecniche produttive.

Oggi, in occasione del Leone, è stata rieditata dall’azienda con due nuovi rivestimenti dello storico marchio veneziano Rubelli in linea con il sentire dell’autrice: un tessuto eco-sostenibile ottenuto da fibra bio-sourced e viscosa ecologica e uno sia da interno sia da esterno ad alte prestazioni, dalla trama colorata e tattile.